sabato 7 gennaio 2012

la Chiesa e la Crisi

al parroco del mio paese, Busnago (MB), don Stefano Strada, non posso non riconoscere il merito di avermi spiegato la crisi prima ancora che questa si verificasse.

Lo Stato è come una parrocchia, che è come una famiglia: tutti questi hanno (o almeno dovrebbero avere) un bilancio e vantano la proprietà di alcuni beni, che sta a loro gestire senza mai potersi permettere "il lusso" di dichiarare bancarotta, perché sarebbe un incalcolabile danno d'immagine agli occhi dei creditori oltreché un'enorme perdita di credibilità nel rispettivo ecosistema (parrocchia tra le parrocchie, Stato tra gli Stati, famiglia tra le famiglie).

Il bilancio si compone di entrate e uscite; poi ci sono le proprietà, beni che si possono più o meno utilizzare e che rappresentano un "tesoretto", nel caso in cui le si metta sul mercato, al quale attingere per riequilibrare i conti. Qualsiasi
persona di buonsenso ragiona così, ma mi rendo conto che il buonsenso sia diventato merce rara una volta entrato nel tritacarne del consumismo.

La parrocchia di Busnago ha un bilancio fatto di entrate e uscite; cerca di chiuderlo ogni anno in sostanziale pareggio, e per ottenere questo risultato può tentare di aumentare le entrate (difficile, perché in parte giungono su base volontaria) o di diminuire le uscite riducendo gli sprechi, ossia quelle spese che non sono funzionali al raggiungimento dello scopo; nel caso in cui, per qualche ragione, non si riuscisse a chiudere il conto in pareggio, si metterebbe mano alla proprietà, anche "passando sopra" lo sdegno della comunità: preferite fare finta di niente e sperare che, un giorno, ci pensi la Divina Provvidenza, a rischio che invece arrivi un ufficiale giudiziario a cominciare il pignoramento; oppure volete essere voi a decidere cosa, tra quello che avete, non serve più per un annuncio efficace del Vangelo?

Lo Stato - italiano - stenta a metabolizzare questa logica: prova ad aumentare le entrate, sempre a scapito dei soliti noti; quando annuncia l'intenzione di riconsiderare le uscite tagliando gli sprechi si trova le parti sociali (quelle rappresentate, ossia una minoranza) e le lobby messe di traverso; neppure prende in considerazione l'idea di disfarsi delle proprietà, sull'onda di campagne di stampa che agitano lo spettro della "vendita del Colosseo" ogni qualvolta che si parla di cessione del patrimonio immobiliare (trattasi, è bene che si sappia, di caserme in disuso e altri palazzi - anche storici ma lasciati spesso abbandonati - che rappresentano una spesa secca).

Se non altro, con l'arrivo del Governo Monti la discussione rispetto a questi temi ha cominciato a comparire in agenda; non seriamente - siamo abituati a troppi anni di inettitudine e discussioni attorno ai non problemi di questo meraviglioso Paese - ma se non altro è comparsa.

Convinzione personale è che siamo cerebralmente obesi: abbiamo tutto, troppo, eppre vogliamo sempre di più, senza interrogarci sul "ci serve davvero?"; meglio sarebbe, forse, una dieta, in modo da andare verso la pratica di uno stile di vita più sobrio ma non sciatto, dove le cose possedute non ci posseggono, ma sono solo la manifestazione di un bisogno e della fatica che si è fatta a cercare di soddisfarlo.

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