sabato 8 novembre 2014

Torneranno i prati (o #TornerannoiPrati), la mia

Lascio le recensioni ai tecnici: ne sanno più di me

Al più posso darvi un parere da spettatore; vi interessa?




Bene, anzitutto grazie per aver scelto di continuare a leggere.

Torneranno i prati, di Ermanno Olmi, è un film che va giù veloce: dura 80 minuti

Uno solo di più (o forse 10, ma cambia poco) e sarebbe risultato noioso, cosa che invece non è.

La pellicola - ispirata al romanzo "La Paura" di Federico De Roberto, che in quanto grande appassionato di storia moderna mi riservo di leggere (a proposito: si può acquistare su Amazon e se sceglierete di farlo seguendo questo link l'ecommerce mi riconoscerà una percentuale sulla vendita) - dicevamo, la pellicola colpisce per la cura della fotografia e dei dettagli: colori "raffreddati" per virare verso il bianco e nero e il seppia delle immagini dell'epoca, una ricostruzione fedele dell'abbigliamento e dell'attrezzatura a disposizione dei soldati, l'ampio ricorso ai dialetti locali, tutti sottotitolati. Cure che il cinema dei panettoni, delle soubrette e degli ex-gieffini e dei transfuga di Zelig non ha mai conosciuto, perciò emergono ogni volta che qualche regista serio se ne ricorda. Avete presente Giorgio Diritti?

Ecco, naturalmente Ermanno Olmi è uno dei capostipite di questa linea, dunque in Torneranno i prati tutto questo non poteva mancare.

Quello di cui invece avrei fatto volentieri a meno sono i dialoghi, ostinatamente retorici: io il soldato della prima linea, ancor più se combattente della Prima Guerra Mondiale, me lo immagino genuino e sgrammaticato, "ruspante", campestre. Questi, che per proferire verbo impiegano secondi su secondi e si fermano a metà discorso, danno una solennità alle proprie esternazioni che stride, e stufa.

Non sta a me dare dei voti, ma una conclusione devo pur tirarla, dunque dico che Torneranno i prati merita di essere visto; e che lo apprezzerete di più se entrerete in sala senza aspettarvi niente di rivoluzionario, o speciale.



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